venerdì 07 novembre 2025
I custodi di Arkham
I Custodi di Arkham
C’era un silenzio denso sulla città di Arkham quella notte. Le antiche guglie delle case gotiche si stagliavano contro un cielo di piombo, dove la luna sembrava una moneta corrotta. L’aria odorava di pioggia e di libri dimenticati, di pietra umida e di segreti troppo antichi per essere raccontati.
Sulle rive del fiume Mortingan, tra le nebbie che avvolgevano i ponti e i lampioni morenti, si muoveva una figura alta e silenziosa: un levriero irlandese dal manto nero, i muscoli tesi come corde, gli occhi chiari e profondi come pozzi d’acqua. Il suo nome era Evil Enchanter.
Non era un cane qualunque, se mai ad Arkham ne fossero esistiti. Si diceva che fosse nato in una notte di tempesta, quando un fulmine aveva colpito la vecchia torre dell’Università di Mortingan, e che la sua prima voce fosse stato un ululato che fece tacere persino il vento. Gli studiosi della città, uomini dai volti scavati e dagli occhi febbrili, lo chiamavano “Il Custode”.
Ogni notte Evil Enchanter camminava lungo i vicoli della città, passando accanto alla biblioteca proibita, ai cancelli di ferro del cimitero di Dunwich Hill, e alla cappella ormai cadente dove, secondo le voci, dormiva il sangue dei primi abitanti di Arkham.
Lui vegliava. Perché sapeva che qualcosa si muoveva sotto la città, qualcosa che respirava nel buio e attendeva il suo risveglio.
Una notte, una giovane studentessa della Mortingan, Eileen Ward, trovò Evil Enchanter davanti alla sua porta. Portava al collo un antico medaglione inciso con simboli che nessuno riusciva a tradurre, ma che emanavano un calore lieve, quasi umano. Da quel momento, i due furono inseparabili.
Eileen scoprì presto che il levriero non era soltanto un animale, ma un ponte tra il mondo dei vivi e quello dei sussurri. Quando camminavano insieme lungo le mura antiche, poteva sentire le voci delle anime di Arkham, un coro sordo di promesse e avvertimenti.
«Evil Enchanter», sussurrò una notte, «cosa proteggi, davvero?»
Il levriero sollevò il muso verso la luna, e in quell’istante Eileen vide le sue pupille mutare — diventare infinite, come portali. E comprese. Arkham non era solo una città: era un sigillo, un baluardo fragile contro le forze che premevano dall’altro lato della realtà.
E i levrieri, quei nobili spiriti erranti che da secoli accompagnavano l’uomo, erano i guardiani del confine.
Da allora, quando il vento del nord porta un odore di ferro e mare, gli abitanti di Arkham dicono di vedere, tra le strade deserte, le ombre di grandi cani correre nella nebbia, silenziosi e solenni come spettri gentili.
Dicono che veglino ancora.
Che Evil Enchanter e i suoi discendenti proteggano la città — e forse il mondo intero — dal sussurro di ciò che non deve essere risvegliato.
E così, in un luogo dove la paura e la meraviglia si confondono, dove l’antico si mescola al sogno, i levrieri irlandesi continuano a camminare tra noi: nobili, leali, e silenziosi custodi del mistero eterno che si chiama Arkham.